In questo periodo condizionato dalla pandemia in corso
siamo stati tutti catapultati in una nuova realtà, una realtà in cui lo slogan #iorestoacasa
è diventato un monito ormai noto e rispettato da molti, in particolare da
famiglie con giovani e bambini.
La casa quindi come strumento che, tenendoci lontani
dagli altri, ci protegge dal contagio, ma per molti la casa non è mai stata
rifugio sicuro e le mura domestiche rappresentano oggi un pericolo. E’ molto
importante seguire le direttive dei governi per la sicurezza della comunità, ma
altrettanto importante che gli stessi governi riconoscano che la casa non è un
luogo sicuro per tutti e si mobilitino tenendo in massima considerazione questa
discriminante nell’ideazione delle misure di controllo dei contagi e nella
pianificazione di una possibile fase di ripartenza.
La pandemia non ha azzerato le vulnerabilità già
esistenti, anzi l’emergenza attuale semmai ha acutizzato problematiche sommerse,
tra cui isolamento, violenza fisica psicologica e disagio. Il rischio del
Coronavirus non è quindi solo sanitario ed economico, tema che ricorre come
preoccupazione costante dei tecnici, ma dall’osservatorio dell’Associazione La
Nostra Comunità, che da anni si batte in prima linea per i diritti dei più
fragili – bambini e persone con disabilità, il rischio è anche sociale,
educativo e psicologico. Tale consapevolezza ci sprona, come operatori del
sociale, a rivedere i paradigmi della qualità dei nostri servizi alla persona.
È giunto il tempo quindi di intraprendere nuovi orizzonti dell’azione
educativa, valorizzando il nuovo che inaspettatamente ci siamo trovati a vivere
in maniera universale e adattare l’esperienza al cambiamento.
Gli operatori sociali sono
professionisti chiave che possono sostenere le figure genitoriali, che si
ritrovano in un momento di stress a cercare di “stare in equilibrio sulla fune
della nuova quotidianità”, una fune mai attraversata prima, senza allenamento e
senza l’equipaggiamento adeguato. La chiusura delle scuole e dei Centri
educativi, lo smart working e la restrizione dei movimenti stanno stravolgendo
la routine, con una ricaduta importante sulla salute mentale di tutti, in
primis degli adulti. L’equilibrio non riguarda solo la gestione della casa, della
nuova scansione del tempo, del lavoro in una forma nuova, ma l’equilibrio da
ritrovare è prima di tutto quello identitario, per poi essere punti di
riferimento sicuri anche per i bambini e le persone fragili vicine a noi.
L’Associazione crede da sempre nell’importanza della
“rete di sicurezza” che possa far camminare tutti sulla fune con la possibilità
remota di cadere senza rompersi, ma rimbalzando come una molla che anche se
urta ritrova la sua forma, arma di resilienza nelle situazioni difficili.
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